Diritto all’oblio, le nuove frontiere globali del Garante Privacy italiano

Una decisione del Garante Privacy italiano apre a una prospettiva di ampliamento dell’effettività del diritto all’oblio di enorme portata. Verso la deindicizzazione a livello globale. Vediamone le implicazioni

Una decisione coraggiosa e innovativa del Garante Privacy porta su un piano più avanzato la battaglia sul diritto all’oblio. Spingendola verso una frontiera globale. Vediamone le implicazioni.

La decisione del Garante sul diritto all’oblio

La decisione – adottata il 27 dicembre, ma resa nota solo pochi giorni fa – è quella con cui il Garante per la protezione dei dati personali ha accolto il reclamo di un ricorrente contro il rifiuto di rimuovere, dalle liste dei risultati europei ed extraeuropei del motore di ricerca gestito da Google, ventisei Url, accessibili digitando il suo nome e il cognome del reclamante. Url tutti specificamente indicati sia nella richiesta fatta a suo tempo nei confronti di Google, sia nel ricorso al Garante.

Gli Url di cui si è chiesta la rimozione dalle liste dei risultati europei ed extraeuropei di Google, rimandavano a messaggi o brevi articoli anonimi, che il ricorrente riteneva gravemente offensivi della sua dignità e reputazione. Si trattava di notizie pubblicate su forum e siti amatoriali che contenevano anche informazioni afferenti al presunto stato di salute del ricorrente e a supposti gravi reati connessi alla sua attività di professore universitario, da lui mai commessi e per i quali non era mai stato indagato.

Inoltre il ricorrente ha segnalato che tali notizie, proprie perché false, non recavano alcuna prova dei fatti riportati ed erano in alcuni casi corredate da fotografie riprese senza il suo consenso.

Il caso, come ricostruito dal Garante sulla base degli atti prodotti dal ricorrente e dalle repliche di Google in qualità di resistente, è piuttosto complesso. Il rifiuto di cancellazione da parte di Google si era basato sul fatto che le notizie si riferivano a fatti del 2017, e quindi molto recenti. La società aveva inoltre eccepito che il ricorrente aveva comunque un profilo pubblico, in quanto professore universitario, tanto più che le notizie erano connesse proprio a tale sua attività.

Contro il rifiuto di Google il ricorrente, presentando reclamo al Garante, negava innanzitutto di essere una figura pubblica, anche perché non aveva né aveva mai avuto alcun incarico pubblico. Sottolineava inoltre il nocumento, particolarmente grave, che la accessibilità a tali notizie gli provocava, confermando (e dimostrando) la totale infondatezza dei fatti in esse riportate. Dichiarava inoltre di esser stato oggetto di ricatto, producendo a tal fine al Garante, una mail con la quale gli si offriva di cancellare le notizie e sostituirle con altre, per lui positive, a condizione che pagasse una ingente somma. Affermava anche che la mail era stata inviata da un sito presumibilmente ricollegabile, a sua volta, ad altro sito di una società operante in Arizona e già condannata, nel 2015, per estorsione rispetto a vicende analoghe.

Nell’ambito del ricorso, il ricorrente ha anche chiesto la cancellazione di ulteriori Url riprodotti da un altro blog, a lui ignoto al momento della richiesta ma già indicizzati da Google.

Di fronte al Garante la società di Mountain View resisteva, eccependo che tali ultime richieste non erano state indicate nell’interpello preventivo. Rispetto alla richiesta principale, relativa agli URL la cui cancellazione era stata oggetto del primo interpello, la società sottolineava che essa riguardava anche siti extra territorio UE, trasformandosi in sostanza in una richiesta di “cancellazione globale”.

Ed è proprio quest’ultimo l’aspetto più importante della vicenda. Dal punto di vista della casistica relativa al diritto all’oblio è certamente comprensibile la richiesta di Google di rigettare il ricorso a causa del pochissimo tempo intercorso tra pubblicazione della notizia e richiesta di cancellazione e dell’affermato profilo pubblico dell’istante. Molto più importante però è il fatto che Google si opponga comunque all’accoglimento della richiesta di cancellazione degli URL rispetto a qualunque accesso da ovunque proveniente nel mondo. La società resiste, infatti, a tale richiesta motivando che il ricorrente ha cittadinanza in Italia, dove è il centro principale dei suoi interessi e che, come Google ha sempre sostenuto, la domanda di cancellazione ai sensi del diritto all’oblio come riconosciuto dalla Corte di giustizia UE può riguardare solo il territorio comunitario.

Inoltre essa fa presente che proprio rispetto alla questione se la eventuale richiesta di cancellazione di uno o più URL possa o meno essere fatta valere relativamente al territorio comunitario o a livello globale (cancellazione globale) pende una causa davanti alla Corte di Giustizia a seguito del deferimento al giudice comunitario della questione da parte del Consiglio di Stato francese, adottata con decisione 21 agosto 2017.

Ritiene dunque Google che accogliere la richiesta di cancellazione globale, in disparte tutti gli altri motivi addotti per sostenere le illegittimità della richiesta, rischierebbe di avere esiti potenzialmente conflittuali con la decisone della Corte di Giustizia. La società chiede dunque al Garante di sospendere ogni deliberazione, in attesa che il giudice europeo si pronunci.

 

Perché è una decisione importante

L’interesse del caso è dunque duplice. Da un lato la richiesta del ricorrente, riguardando fatti recentissimi ed essendo egli comunque un professore accusato di fatti relativi alla sua attività, avrebbe forse anche potuto giustificare un rigetto dell’istanza per il permanere di un potenziale interesse pubblico a conoscere, proprio come Google sostiene.

Dall’altro, ed è l’aspetto più importante, la richiesta di cancellazione globale, finalizzata a impedire l’accessibilità a queste Url sia dal territorio dell’Unione che da ogni altra parte del globo, ha messo il Garante di fronte a una questione oggettivamente molto delicata, tanto più considerando l’invito di Google ad attendere la Corte di giustizia.

Il Garante italiano invece, con una decisione coraggiosa e certamente di avanguardia, respinge tutte le eccezioni di Google, salvo, per ragioni procedurali, quelle relative alle richieste non presentate già nel primo interpello.

Soprattutto, ed è questo il punto veramente importante della decisione, accoglie la richiesta del ricorrente rispetto alla cancellazione delle URL secondo modalità che le rendano inaccessibili da qualunque sito, ovunque collocato nel mondo.

La motivazione adotta dal Garante per fondare una decisione così innovativa su entrambi i piani, ma soprattutto su quello relativo all’ampiezza territoriale degli effetti della cancellazione delle URL, è piuttosto stringata, ma chiara.

Da un lato, per superare l’obiezione del poco tempo trascorso fra pubblicazione delle notizie e richiesta della cancellazione delle URL, sottolinea che la accertata falsità delle notizie, e per di più il fatto che esse riguardino anche dati sensibili come quelli relativi alla salute, giustificano senza alcun dubbio l’accoglimento della richiesta. Cita a tal fine anche due punti specifici delle note Linee Guida sul diritto all’oblio, approvate dal Gruppo 29 il 26 novembre 2014, e ribadisce che sia la falsità delle informazioni, che la diffusione di dati relativi alla salute, costituiscono una violazione così grave della normativa di protezione dei dati da imporre, senza ombra di dubbio, l’accoglimento della richiesta.

Rispetto all’altra questione, certo quella più importante, relativa alla accettabilità o meno di una richiesta di cancellazione globale delle URL incriminate, la decisione del Garante accoglie pienamente la richiesta del ricorrente.

La decisione non è motivata, però, su una interpretazione a carattere generale della normativa europea e del diritto all’oblio come ricostruito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ma sul fatto che il ricorrente è cittadino italiano iscritto nelle liste dell’AIRE (cittadini italiani residenti all’estero), e che ha dichiarato di risiedere al di fuori dell’Unione europea.

In conseguenza di ciò, dice il Garante, è ragionevole ritenere che il nocumento che egli ha dall’accessibilità alle URL incriminate non verrebbe meno se la loro cancellazione valesse solo per il territorio europeo. Ed è proprio tenendo conto di questo aspetto che il Garante accoglie anche la richiesta di cancellazione globale delle URL.

Ordina dunque a Google di rimuovere, entro venti giorni dalla ricezione della decisione, gli Url tuttora indicizzati fra i risultati di ricerca ottenibili digitando il nome del ricorrente, e di far questo sia nelle versioni europee che in quelle extraeuropee, estendendo tale attività anche agli URL già deindicizzati nelle versioni europee di Google. Questa, riassunta a grandi linee, la decisione del Garante.

 

Le implicazioni sul diritto all’oblio

Essa è estremamente innovativa, e non potrà non far discutere anche per il coraggio che l’Autorità ha avuto nell’assumerla, malgrado penda il ricorso davanti alla Corte di Giustizia.

Si potrà obiettare che comunque l’accoglimento delle deindicizzazioni a livello globale è basata su una motivazione molto specifica, quale quella che il richiedente, pur essendo cittadino italiano, risiede all’estero e dunque può avere nocumento dalla accessibilità alle URL incriminate che avvenga utilizzando accessi extra territorio UE.

La motivazione, se letta solo in questi limiti, può apparire molto specifica e apparentemente restrittiva. Tuttavia essa apre comunque a una prospettiva di ampliamento dell’effettività del diritto all’oblio di enorme portata.

Merita sottolineare, infatti, che, come si evince dalla decisione, la ragione dell’accoglimento non consiste tanto nel fatto che il richiedente risieda all’estero quanto nella constatazione che, proprio per questo, egli può continuare a ricevere nocumento se gli URL restano accessibili nel suo territorio di abituale residenza. Tuttavia se questo è il criterio sostanziale sotteso alla decisione, non si vede perché esso non dovrebbe essere applicato anche a chi, per il lavoro che fa o per la frequenza e ripetitività di soggiorni prolungati fuori dal territorio dell’Unione, non possa invocare, alla medesima stregua, che la mancata cancellazione degli URL dai siti accessibili in ogni altra parte del mondo può apportargli un concreto nocumento, eventualmente fornendone anche la prova.

La decisione del Garante sembra dunque avere potenzialità di sviluppo che vanno ben oltre il caso affrontato, malgrado che, apparentemente, la motivazione adottata sembri volerne limitare gli effetti.

Quello che conta più di ogni altra cosa, comunque, è che con questa decisione il Garante italiano, sia pure con una punta di timidezza, sembra essersi allineato alla posizione della CNIL, che è all’origine del ricorso alla Corte di giustizia da parte del Consiglio di Stato francese.

Certamente una notizia non buona per Google, e forse una nuova luce che per ora filtra quasi da un pertugio, ma che potrà in futuro far superare per tutti i cittadini europei ogni limite territoriale al diritto all’oblio.

Se così sarà, potremmo dire che questa decisione avrà rappresentato un passo importante in materia di diritto all’oblio, ben al di là e ben oltre il caso deciso.

di Franco Pizzetti, Professore ordinario di Diritto Costituzionale – Facoltà di Giurisprudenza Università di Torino

fonte: agendadigitale.eu