Google e diritto all’ oblio

Il 17 dicembre 2014 il ricorrente, un avvocato, chiedeva a Google di “deindicizzare” 14 URL risultanti da una ricerca concernente il proprio nominativo… ecco come è andata a finire.

Google e diritto all’oblio: la prima sentenza dei tribunali italiani
Tribunale, Roma, sez. I, sentenza 03/12/2015 n° 23771

La sentenza del Tribunale di Roma del 3 dicembre 2015 è importante perché applica concretamente i principi elaborati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella nota decisione “Google Spain”, la quale ha formalizzato il diritto all’oblio quale espressione del diritto alla privacy nelle vicende personali diffuse via web che non siano più di pubblico interesse.

La questione giuridica

Con la sentenza del 3 dicembre 2015, il Tribunale di Roma ha applicato i principi stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella decisione del 13 maggio 2015, C- 131/12, Google Spain SL, Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González. Tra i molti importanti principi giuridici, la Corte di Giustizia riconosce il c.d. diritto all’oblio (right to be forgotten) stabilendo che si deve verificare in particolare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati visibili al pubblico a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. In questo senso i diritti fondamentali riconosciuti dagli artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso all’informazione in questione.

Il caso esaminato dal tribunale capitolino ricade pienamente nella fattispecie delineata dalla Corte di giustizia, ovvero quale valenza abbia il tempo di esposizione delle informazioni raccolte dalla cronaca giudiziaria relative ad una persona avente un ruolo pubblico senza che questa possa dolersi di una ingerenza ingiustificata nella propria vita personale e professionale.

Il fatto

Il 17 dicembre 2014 il ricorrente, un avvocato, chiedeva a Google di “deindicizzare” 14 URL risultanti da una ricerca concernente il proprio nominativo con riferimento a vicende giudiziarie nelle quali era stato coinvolto. Si trattava di notizie di cronaca relative a una vicenda giudiziaria risalente agli anni 2012/2013 che lo vedeva implicato insieme ad altri personaggi romani, esponenti del clero e soggetti riconducibili alla c.d. “banda della Magliana” in merito a presunte truffe e guadagni illeciti che sarebbero stati realizzati da costoro. Il professionista si doleva che tali informazioni riferite dai risultati del motore di ricerca facessero riferimento a “una risalente vicenda giudiziaria nella quale era rimasto coinvolto senza che mai fosse stata pronunciata alcuna condanna” e chiedeva la condanna della controparte al risarcimento derivante da detto illegittimo trattamento dei suoi dati da quantificarsi nella misura non inferiore a 1000,00€.

I resistenti si costituivano eccependo la nullità dell’atto introduttivo, evidenziando che quattro dei link contestati non erano più attivi e, nel merito, l’inesistenza del diritto all’oblio della controparte in relazione alle notizie riportate, soprattutto in considerazione dell’assenza del requisito dello scorrere del tempo rispetto all’accadimento dei fatti e del ruolo dell’interessato nella vita pubblica.

Le argomentazioni del Tribunale di Roma

Il tribunale romano respinge la domanda: seppure essa sia riconducibile al trattamento dei dati personali e al diritto all’oblio quale parte essenziale del diritto alla riservatezza, i dati trattati risultano da un lato recenti, dall’altro di interesse pubblico.

Sotto il primo profilo, il trascorrere del tempo dall’accadimento dei fatti in parola, ai fini della lesione del right to be forgotten, si configura come elemento costitutivo essenziale. Sul punto il giudicante richiama la giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto all’oblio esige “che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati” (Cass. civ. Sez. III, 05-04-2012, n. 5525), mentre gli URL per i quali si è causa sono riconducibili al 2013 o, per quelli più risalenti, all’estate 2012, pertanto essi si possono definire recenti e mantengono una loro innegabile attualità, soprattutto in considerazione del ruolo pubblico del ricorrente, professionista legale esercente l’attività di avvocato in Svizzera.

Sotto il secondo profilo, il giudicante osserva che tali notizie sono di interesse pubblico, e pertanto la loro diffusione è tutelata dall’esercizio del diritto all’informazione, costituzionalmente protetto, e ulteriormente sottolinea che quella in parola è una rilevante indagine giudiziaria locale. A questo proposito, il giudice sottolinea che il ricorrente non ha prodotto adeguata documentazione dimostrativa della conclusione della vicenda, come “archiviazioni, sentenze favorevoli…” e pertanto essa permane d’attualità. Relativamente alle doglianze sulla falsità delle notizie riportate dal motore di ricerca, l’interessato deve agire a tutela della propria reputazione e riservatezza esclusivamente nei confronti dei siti terzi che abbiano pubblicato notizie infedeli o non aggiornate con i successivi sviluppi, eventualmente a lui favorevoli, ma non nei confronti del gestore del motore di ricerca, poiché questo opera meramente quale caching provider ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 70/2003.

Conclusioni operative

Nel bilanciamento tra diritto alla riservatezza e l’interesse pubblico a rinvenire sul web notizie relative a persone che svolgono ruoli pubblici, il diritto di informazione prevale su quello all’oblio. In altri termini, alla luce dell’applicazione concreta di tale principio si può osservare che il diritto all’oblio non deve essere utilizzato per abbellire o smacchiare il profilo pubblico di un soggetto che svolge ruoli di rilevanza pubblica. Tale ruolo pubblico non è attribuibile al solo “politico”, ma anche agli “alti funzionari pubblici, agli uomini d’affari e agli iscritti in albi professionali”, come precisato dal giudice capitolino. Si tratta di una opinione condivisibile, poiché esiste non solo il diritto dell’opinione pubblica di conoscere le vicende riguardanti un professionista che, svolgendo le sue mansioni, ricopre un ruolo di importanza istituzionale, ma anche il dovere del professionista di essere responsabile, e quindi trasparente, verso i consociati delle scelte relative alla sua attività professionale.

Fonte: altalex.com