LA VIDEOSORVEGLIANZA NEL LAVORO DOMESTICO

CHIARIMENTI DELL’ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO

Si segnala la nota n. 1004 dell’ 8 febbraio 2017 (interamente riportata in calce) con la quale l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha chiarito che non serve l’autorizzazione e nemmeno il preventivo accordo sindacale per installare una telecamera (videosorveglianza) che controlla indirettamente l’attività della colf, in quanto il lavoro domestico ha caratteristiche di specialità tali da rendere inapplicabili le norme dello statuto dei lavoratori.

Tuttavia, l’esclusione del lavoro domestico dall’applicabilità dello statuto dei lavoratori non sottrae il datore di lavoro al rispetto della normativa privacy, essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza, garantita dal D.lgs. n. 196/2003, che dispone la necessarietà del consenso preventivo e del connesso obbligo informativo degli interessati, c.f.r. l’art. 115 che recita:

Art. 115. Telelavoro e lavoro a domicilio

  1. Nell’ambito del rapporto di lavoro domestico e del telelavoro il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e della sua libertà morale.
  2. Il lavoratore domestico è tenuto a mantenere la necessaria riservatezza per tutto quanto si riferisce alla vita familiare.

Conseguentemente, come in qualsiasi altro rapporto di lavoro, il datore di lavoro dovrà rispettare le procedure previste dal codice della privacy per l’utilizzo e il trattamento dei dati acquisiti con tali apparecchi.

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Ispettorato Nazionale del Lavoro
Nota 8 febbraio 2017, prot. n. 1004
Oggetto: Richiesta chiarimenti per impianti di videosorveglianza.Riscontro.

Si riscontra la nota in epigrafe, con cui codesto Ufficio ha chiesto alla scrivente Direzione
un parere in merito alla possibilità di autorizzare l’installazione di un impianto di
videosorveglianza collocato in un’abitazione privata all’interno della quale è presente un
lavoratore domestico.

Al riguardo occorre premettere che si definisce “lavoro domestico” l’attività lavorativa
prestata esclusivamente per le necessità della vita familiare del datore di lavoro (art. 1,
legge 339/1958), che ha per oggetto la prestazione di servizi di carattere domestico
diretti al funzionamento della vita familiare.

Il collaboratore domestico svolge l’attività lavorativa nella casa abitata esclusivamente
dal datore di lavoro e dalla sua famiglia, in quanto il rapporto di lavoro domestico non
si svolge all’interno di un’impresa organizzata e strutturata, ma nell’ambito di un nucleo
ristretto ed omogeneo, di natura per lo più familiare e risponde alle esigenze tipiche e
comuni di ogni famiglia.

Nella sentenza 11-23 dicembre 1987 n. 585, la Corte Costituzionale ha affermato che
“non v’è dubbio che il rapporto di lavoro domestico per la sua particolare natura si
differenzia, sia in relazione all’oggetto, sia in relazione ai soggetti coinvolti, da ogni altro
rapporto di lavoro: esso, infatti, non è prestato a favore di un’impresa avente, nella
prevalenza dei casi, un sistema di lavoro organizzato in forma plurima e differenziata,
con possibilità di ricambio o di sostituzione di soggetti, sibbene di un nucleo familiare
ristretto ed omogeneo, destinato, quindi, a svolgersi nell’ambito della vita privata
quotidiana di una limitata convivenza. In ragione di tali caratteristiche, proprie al
rapporto, la Corte ha già evidenziato, in via di principio, la legittimità di una disciplina
speciale anche derogatoria ad alcuni aspetti di quella generale (sentenza n. 27 del
1974)”.

Il rapporto di lavoro domestico, in considerazione della peculiarità dello stesso, sin
dall’origine ha goduto di una regolamentazione specifica, che, per l’appunto, tiene conto
delle speciali caratteristiche che contraddistinguono la prestazione lavorativa resa dal
lavoratore, l’ambiente lavorativo e, fattore non irrilevante, la particolare natura del
soggetto datoriale.

Alla luce di siffatte considerazioni, è del tutto evidente che anche le fasi di estinzione
del contratto di lavoro domestico sono disciplinate da un corollario normativo che, si
può dire quasi fisiologicamente, si allontana dalle regole generali che assistono,
ordinariamente, il momento di interruzione del legame negoziale fra le parti interessate.

All’interno quindi del perimetro normativo delineato, il rapporto di lavoro domestico è
sottratto alla tutela dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970) poiché in questo
caso, il datore di lavoro è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa.

Di conseguenza è esclusa l’applicabilità dei limiti e dei divieti di cui all’art. 4 della legge
n. 300/1970, che insieme agli artt. 2, 3 e 6 costituisce un corpus normativo tipico di
una dimensione “produttivistica” dell’attività di impresa, differenziandosi, invece, a
titolo esemplificativo, dalla natura estensiva dell’applicabilità dell’art. 8 dello Statuto, che pone il divieto di indagini su profili del lavoratore non attinenti alle sue attitudini
professionali e che trova piena cittadinanza anche nell’ambito del lavoro domestico.

L’esclusione del lavoro domestico dall’applicabilità dell’art. 4 della legge n. 300/1970
non sottrae al rispetto dell’ordinaria disciplina sul trattamento dei dati personali,
essendo confermata la tutela del diritto del lavoratore alla riservatezza, garantita dal
d.lgs. n.196/2003, che dispone la necessarietà del consenso preventivo e del connesso
obbligo informativo degli interessati.

Nell’ambito domestico, il datore di lavoro, anche nel caso di trattamento di dati riservati
per finalità esclusivamente personali, incontra i vincoli posti dalla normativa sul
trattamento dei dati personali a tutela della riservatezza e in particolare quanto previsto
dall’art. 115 del d.lgs. n.196/2003.