Videosorveglianza, geolocalizzazione e tutela della privacy

Con il presente lavoro, si intende affrontare la problematica relativa al contemperamento di due distinti interessi, tra loro contrapposti, nell’ambito di un’azienda che intenda installare impianti di videosorveglianza: da un lato, quello della tutela della proprietà privata e, dall’altro, quello della privacy.

In particolare, il montaggio di apparecchiature videosorveglianti dovrebbe fungere da deterrente e, al contempo, consentire – ad esempio, in caso di furti o danneggiamenti – di risalire, per il tramite dell’attività investigativa delle Forze dell’ordine, ai responsabili degli illeciti.

In questa sede, seppur secondariamente, assume potenziale interesse comprendere quali siano gli eventuali limiti normativamente imposti all’utilizzo di dispositivi di rilevamento della posizione da installare sugli automezzi in dotazione al personale dell’azienda.
Sommario:
1. Inquadramento normativo
2. Incombenti 
2.1 Verifica preliminare
2.2 Notificazione
2.3 Incaricati del trattamento
2.4 Misure di sicurezza
2.5 Informativa
2.6 Consenso
2.7 Determinazione del periodo di conservazione delle immagini
2.8 Tutela dei diritti degli interessati
3. Sanzioni
4. Conclusioni

1. Inquadramento normativo

Innanzitutto, con il termine “videosorveglianza” si definisce l’acquisizione, in modo continuativo, di immagini, eventualmente associate a suoni, relative a persone identificabili. Spesso, il rilevamento comporta anche una contestuale registrazione ed una successiva conservazione dei dati.

Invero, il trattamento dei dati personali effettuato mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza non forma oggetto di legislazione specifica; pertanto, al riguardo, si applicano le disposizioni generali in tema di protezione dei dati personali (d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 e s.m.i.).

Ad ogni buon conto, il Garante ha ritenuto necessario intervenire in tale settore con il proprio Provvedimento generale di data 8 aprile 2010 (sostitutivo del precedente, di data 29 aprile 2004) ([1]).

Naturalmente, l’installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto anche di altre disposizioni dell’ordinamento, applicabili di volta in volta, quali – ad esempio – le vigenti norme dell’ordinamento penale in materia di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), nonché quelle sul controllo a distanza dei lavoratori, previste dalla legge 20 maggio 1970, n. 300 ([2]).

La raccolta, la registrazione, la conservazione e, in generale, l’utilizzo di immagini configura un “trattamento” di dati personali (art. 4, comma 1, lett. a, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 ([3])). È considerato “dato personale”, infatti, qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione (art. 4, comma 1, lett. b, Codice privacy).

Un’analisi non esaustiva delle principali applicazioni della materia dimostra che la videosorveglianza è utilizzata a fini molteplici, alcuni dei quali possono essere raggruppati nei seguenti ambiti generali: protezione e incolumità degli individui, protezione della proprietà, rilevazione, prevenzione e controllo delle infrazioni, acquisizione di prove.

La videosorveglianza deve, in ogni caso, fondarsi sui principi di seguito esplicitati, così come da indicazioni espresse del Garante:

– principio di liceità, in base al quale i dati devono essere trattati secondo le prescrizioni normative (art. 11, comma 1, lett. a, Codice privacy);
– principio di necessità, in base al quale i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati in modo tale da ridurre al minimo (id est ai soli casi di reale necessità) l’utilizzo dei dati personali (art. 3 Codice della privacy);
– principio di proporzionalità, in base al quale i dati personali oggetto di trattamento devono essere «pertinenti, completi e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono raccolti o successivamente trattati» (art. 11, comma 1, lett. d, Codice privacy) ([4]);
– principio di finalità, in base al quale i dati devono essere raccolti e trattati per scopi determinati, espliciti e legittimi (art. 11, comma 1, lett. b, Codice privacy).
2. Incombenti

Da un’analisi complessiva della normativa vigente (compresi i Provvedimenti generali del Garante), risulta che, prima di attivare qualsivoglia sistema di videosorveglianza, è necessario porre in essere una serie di determinati adempimenti.

2.1  Verifica preliminare

Si pone spesso il problema di quali siano le ipotesi che richiedono un’espressa istanza al Garante per ottenere il suo “nulla osta”.

Normalmente, non è obbligatorio rivolgere richiesta formale al Garante per l’installazione di un impianto di videosorveglianza. Solo in alcuni casi è necessario sottoporre il trattamento di dati alla verifica preliminare dell’Autorità.

Come regola generale, si può ritenere che un’istanza specifica si renda necessaria ogni qualvolta si ravvisino rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità degli interessati, in relazione alla natura dei dati, alle modalità di trattamento o agli effetti che possono determinarsi.

In relazione a ciò, il Garante ha individuato espressamente le seguenti ipotesi di previa richiesta necessaria:

– quando i sistemi di raccolta delle immagini siano associati a dati biometrici;
– quando i sistemi siano dotati di software che permettono il riconoscimento della persona tramite collegamento, incrocio o confronto delle immagini rilevate (come, ad esempio, la morfologia del volto) con altri specifici dati personali (in particolare, dati biometrici), ovvero sulla base del confronto della stessa immagine con una campionatura di soggetti, precostituita alla raccolta dei dati;
– quando si abbia a che fare con i sistemi c.d. intelligenti, i quali non si limitano a riprendere e registrare le immagini, ma sono in grado di rilevare automaticamente comportamenti o eventi anomali, segnalarli ed, eventualmente, registrarli;
– quando si tratti di sistemi integrati che non rientrino tra quelli individuati ai punti 4.6 e 5.4 del Provvedimento, con riguardo – rispettivamente – allo svolgimento di attività di video-controllo in forma integrata tra diversi soggetti (pubblici e privati) e da parte di Enti pubblici;
– quando si prevedano tempi di conservazione dei dati maggiori di sette giorni, a meno che non vi sia una specifica richiesta dell’Autorità giudiziaria o di polizia giudiziaria;
– quando si tratti di sistemi che prevedono trattamenti aventi natura e caratteristiche tali per cui le misure e gli accorgimenti, individuati nel Provvedimento del Garante, non siano integralmente applicabili.
Sono esclusi da tale novero quei meccanismi di videosorveglianza per i quali il Garante si sia già espresso con un provvedimento di verifica preliminare in relazione a determinate categorie di titolari del trattamento o di trattamento in sè, laddove la fattispecie concreta corrisponda integralmente a quella per cui l’attività di videosorveglianza sia stata approvata.

2.2 Notificazione

Il Provvedimento prevede che debba essere eseguita la notificazione all’Autorità di garanzia solo laddove si rientri in una delle ipotesi contemplate all’art. 37 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

La notificazione è una dichiarazione con la quale un soggetto pubblico o privato rende nota al Garante l’esistenza di un’attività di raccolta e di utilizzazione dei dati personali, svolta quale autonomo titolare del trattamento. Tale atto deve essere trasmesso – per via telematica, con l’ausilio della firma digitale, mediante il sito web dell’Autorità – prima dell’inizio del trattamento dei dati.

Nel caso specifico della videosorveglianza, la notifica è necessaria solo per trattamenti peculiari.

Tra questi, possono menzionarsi la raccolta e l’utilizzo di dati che indichino la posizione geografica di persone od oggetti mediante una rete di comunicazione elettronica (art. 37, comma 1, lett. a, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). A tal proposito, il Garante – con parere del 23 aprile 2004 – ha precisato che tale evenienza si traduce nella «localizzazione di persone od oggetti, ed è quindi riferita alla rilevazione della loro presenza in determinati luoghi, mediante reti di comunicazione elettronica gestite o accessibili dal titolare del trattamento» e che la stessa «va notificata quando permette di individuare in maniera continuativa – anche con eventuali intervalli – l’ubicazione sul territorio o in determinate aree geografiche, in base ad apparecchiature o dispositivi elettronici detenuti dal titolare, o dalla persona, oppure collocati sugli oggetti. La localizzazione deve comunque permettere di risalire all’identità degli interessati, anche indirettamente attraverso appositi codici». In conseguenza di ciò, non devono essere notificati al Garante i trattamenti di dati personali che consentano solo una rilevazione non continuativa del passaggio o della presenza di persone o cose (come avviene con la registrazione degli ingressi e delle uscite presso i luoghi di lavoro, nonché con la captazione di immagini o suoni presso locali commerciali ove si svolga l’attività del titolare del trattamento).

In considerazione di quanto appena esposto, parrebbe che l’installazione (sugli automezzi utilizzati) di rilevatori di posizione del personale aziendale – benché volti a garantire la sicurezza dei lavoratori, i quali potrebbero trovarsi costretti a raggiungere zone pericolose e/o impervie – ricada nell’ambito di applicazione della fattispecie testé richiamata. Infatti, tali rilevatori altro non farebbero che raccogliere e utilizzare dati che indicano la posizione geografica dei dipendenti mediante una rete di comunicazione elettronica, esattamente così come previsto dall’art. 37, comma 1, lett. a, Codice privacy. Pertanto, laddove un’azienda decidesse di procedere in tal senso – adottando, quindi, una soluzione contemplata e non vietata dall’ordinamento –, avrebbe senz’altro l’onere di notificare la sua intenzione al Garante.

Tuttavia, questa conclusione giuridica è incompleta senza il doveroso coordinamento con la disciplina dettata dallo Statuto dei lavoratori, il quale – all’art. 4, comma 1 ([5]), da considerarsi «la norma di riferimento per l’adozione di sistemi di videosorveglianza in ambito lavorativo» ([6]) – vieta in modo assoluto il controllo a distanza dei lavoratori.

In particolare, i problemi vengono sollevati dalla locuzione «altre apparecchiature», con la quale deve intendersi – in via residuale – ogni dispositivo tecnologico, diverso dalle videocamere, idoneo ad assolvere le finalità proibite dalla norma (anche a prescindere dalla relativa capacità di riproduzione visiva o sonora: tale è – probabilmente – anche il sistema gps di localizzazione geografica) ([7]). La disposizione, dunque, vieta i cosiddetti controlli intenzionali; invece, dei cosiddetti controlli preterintenzionali si occupa l’art. 4, comma 2, Statuto dei lavoratori, il quale stabilisce che «gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti».

Questa norma, in altri termini, permette la predisposizione di sistemi di videosorveglianza volti a far fronte a esigenze organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro, purché – rispetto alle stesse – il potenziale controllo sull’attività produttiva del lavoratore si configuri come accessorio, ossia come mera conseguenza accidentale, non specificamente voluta (c.d. controllo preterintenzionale, appunto). In tali casi, il datore di lavoro deve, innanzitutto:

– stipulare un accordo con le rappresentanze sindacali in azienda o, in mancanza di esse, con la commissione interna;
-in assenza di accordo, richiedere un provvedimento autorizzativo alla Direzione provinciale del lavoro ([8]).
Dopodiché, dovrà osservarsi la procedura, successiva all’eventuale onere di notificazione, descritta infra, ai paragrafi seguenti.

In proposito si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, affermando che «non è soggetta alla disciplina [del citato art. 4, comma 2, Statuto dei lavoratori] l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori» ([8bis]). In altri termini, secondo i giudici di legittimità, ove la videosorveglianza c.d. difensiva non dia luogo a controlli intenzionali e nemmeno a controlli preterintenzionali, non si rivela necessario – per l’attivazione dei relativi impianti – il consenso delle organizzazioni sindacali.

Un secondo tipo di trattamento soggetto all’obbligo di notifica è quello relativo alle informazioni registrate in apposite banche dati, gestite con strumenti elettronici e relative a comportamenti illeciti o fraudolenti (art. 37, comma 1, lett. f, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). Al riguardo, il Garante ha avuto cura di specificare che non è necessaria la notificazione di quei trattamenti disposti esclusivamente per finalità di sicurezza e di tutela delle persone o del patrimonio – ancorché relativi a comportamenti illeciti o fraudolenti – quando immagini o suoni siano conservati solo temporaneamente ([9]).

2.3 Incaricati del trattamento

Devono essere nominati per iscritto  “incaricati del trattamento”:

– le persone fisiche autorizzate ad accedere ai locali dove sono situate le postazioni di controllo;
– le persone fisiche autorizzate ad utilizzare gli impianti di videosorveglianza;
– le persone fisiche autorizzate a visionare le immagini.
2.4 Misure di sicurezza

Anche le immagini, in quanto “dati personali”, devono essere protette con preventive misure di sicurezza. Queste ultime devono essere idonee a ridurre al minimo i rischi di distruzione, perdita (anche accidentale), accesso non autorizzato, trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta, anche in relazione alla trasmissione delle immagini.

Devono, quindi, essere adottate:

– le misure di sicurezza idonee, di cui all’art. 31 Codice privacy;
– le misure minime di sicurezza, di cui agli artt. 33, 34 e 35 del Codice privacy, nonché di cui all’Allegato B del d.lgs 30 giugno 2003, n. 196 stesso.

Il Provvedimento prescrive, poi, nello specifico, l’adozione di peculiari misure tecniche e organizzative (cfr. punto 3.3. Provvedimento del Garante), che consentano al titolare dell’area sottoposta a videosorveglianza di verificare l’attività espletata da parte di chi accede alle immagini o controlla i sistemi di ripresa.

Infine, peculiari cautele devono essere adottate nel caso di interventi derivanti da esigenze di manutenzione. In particolare, i soggetti preposti alle operazioni di riparazione tecnica possono accedere alle immagini solo se ciò si renda indispensabile al fine di effettuare eventuali e opportune verifiche, purché vi sia la presenza dei soggetti dotati di credenziali di autenticazione abilitanti alla visione delle immagini stesse.

Il Garante impone, inoltre, specifici obblighi in relazione ai sistemi integrati di videosorveglianza, i quali richiedono l’adozione di particolari misure di sicurezza.

2.5 Informativa

In base alla disciplina in esame, fondamentale è che tutti gli interessati siano congruamente notiziati sia del fatto che stanno per accedere a una zona videosorvegliata, sia dell’eventuale registrazione delle immagini ivi rilevate.

A tal fine, il Garante ha indicato un modello semplificato di informativa (c.d. cartello), che deve essere reso visibile prima di accedere all’area oggetto delle riprese (art. 13, comma 3, Codice privacy). Il Garante non specifica la quantità di cartelli da esporre, né il loro posizionamento o le loro dimensioni, ma detta alcuni principi guida per la determinazione dell’informativa idonea al singolo caso specifico:

il modello deve avere un formato e una collocazione tali da farlo risultare chiaramente e facilmente visibile. In caso di funzionamento notturno dell’impianto di videosorveglianza, il cartello-informativa dovrà essere opportunamente illuminato;
nel caso in cui l’area videosorvegliata sia estesa (o siano impiegate più telecamere), è da valutarsi l’opportunità di posizionare più cartelli;
nel caso in cui il trattamento dei dati avvenga tramite sistemi di videosorveglianza in comunicazione diretta con le Forze di polizia, il cartello dovrà specificare la sussistenza di tale collegamento.
Il cartello ha la funzione di avvertire con immediatezza della presenza di telecamere, ma non è sufficiente: il Garante ha previsto – per il titolare dell’area sottoposta a videosorveglianza – l’obbligo di redazione di un testo completo di informativa, in cui siano indicati gli elementi previsti dall’art. 13 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che deve essere reso disponibile – con modalità agevoli e non onerose – agli interessati che lo richiedano.

2.6 Consenso

Nel Provvedimento di data 8 aprile 2010, al punto 6.2, il Garante ha individuato i casi in cui è possibile installare telecamere senza il consenso degli interessati.

In base a tale norma, il consenso non è necessario quando chi intende rilevare le immagini deve perseguire un interesse legittimo attraverso la raccolta di mezzi di prova, ovvero quando intenda raggiungere obiettivi di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti e atti di vandalismo, oppure – ancora – quando egli abbia finalità di prevenzione di incendi o di sicurezza sul lavoro.

2.7 Determinazione del periodo di conservazione delle immagini

Qualora il titolare ritenesse indispensabile registrare le immagini rilevate, è suo onere configurare il sistema di videosorveglianza in modo da limitarne la conservazione per un massimo di ventiquattro ore (a decorrere dalla rilevazione), fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione in relazione, ad esempio, a festività o chiusura di uffici o esercizi.

Solo in alcuni casi specifici è consentita una conservazione temporale delle immagini più ampia, ma per un termine che comunque non può eccedere la settimana. Periodi più lunghi vanno fatti oggetto di espressa richiesta di verifica preliminare al Garante.

Allo scadere dei termini stabiliti, scatta l’obbligo di cancellazione delle immagini da ogni supporto, con modalità tali da rendere non riutilizzabili i dati eliminati.

2.8 Tutela dei diritti degli interessati

Il titolare deve assicurare agli interessati – identificabili mediante le immagini raccolte – l’effettivo esercizio dei propri diritti, in conformità all’art. 7 Codice privacy; conseguentemente, per rispondere alle istanze rivoltegli, è tenuto ad avviare un’apposita procedura.

3. Sanzioni

L’installazione di sistemi di videosorveglianza deve avvenire conformemente ai principi e alle regole a cui si è finora fatto riferimento e, più in generale, a tutte le prescrizioni contenute nel Provvedimento del Garante del 2010. La mancata osservanza comporta, a seconda dei casi, l’illiceità o la non correttezza del trattamento dei dati raccolti ed espone a conseguenze di vario genere:

– inutilizzabilità dei dati personali trattati in violazione della relativa disciplina, ai sensi dell’art. 11, comma 2, Codice privacy;
– adozione di provvedimenti di blocco o di divieto del trattamento, disposti dal Garante, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. c, Codice privacy, e di analoghe decisioni assunte dall’Autorità giudiziaria civile o penale;
– applicazione delle pertinenti sanzioni amministrative o penali, previste agli artt. 161 ss. Codice privacy.
4. Conclusioni

Il nuovo Regolamento (UE) n. 2016/679 ([10]) sulla «protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati» introduce diverse novità in materia di data protection. Anche la disciplina interna delle attività di videosorveglianza e geolocalizzazione, dunque, dovrà adeguarsi alla recente normativa europea, applicabile negli Stati membri a far data dal 25 maggio 2018.

Attualmente, alla luce di quanto sin qui esposto, se si considera la primaria finalità di tutela del proprio patrimonio – rispetto a episodi di furto – perseguita da un’azienda, l’installazione di un impianto di videosorveglianza “semplice” – il cui raggio di rilevamento dei dati copra esclusivamente l’area interessata e, per ovvie e “fisiologiche” ragioni, anche quella immediatamente attigua alle pertinenze aziendali (id est zona antistante i cancelli di entrata) – non dovrebbe richiedere una previa istanza all’Autorità, né dovrebbe essere fatta oggetto di specifica notificazione al Garante, sempre che alla stessa (installazione) non si associ una conservazione dei dati registrati superiore ai termini legislativamente previsti (ventiquattro ore o – se del caso – una settimana). Altresì, non dovrebbe rivelarsi necessario il consenso degli interessati.

Discorso diverso deve farsi nel caso in cui un datore di lavoro intendesse procedere alla predisposizione di sistemi di rilevamento della posizione sugli automezzi aziendali utilizzati dai dipendenti per raggiungere siti pericolosi, oppure laddove i lavoratori debbano recarsi presso impianti di depurazione che rappresentano un elevato rischio per la loro incolumità fisica. Tale ipotesi – ove l’intenzione dell’azienda è evidentemente quella di rispondere a esigenze di sicurezza sul lavoro – integra una concretizzazione della fattispecie astratta del c.d. controllo preterintenzionale, che – come si è avuto modo di vedere – è soggetta a particolari cautele.

Di conseguenza, la procedura che l’azienda sarebbe tenuta a osservare è più complessa: dovrebbe, dapprima, procedere alla conclusione di un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, ovvero con la commissione interna; ove ciò non fosse possibile, inoltrare un’espressa richiesta di autorizzazione alla Direzione provinciale del lavoro.

Dovrebbe, in ogni caso, essere assolto il dovere di informativa, mediante l’affissione del c.d. cartello (se del caso, anche in più unità). Per comodità, sarebbe opportuna anche la predisposizione di un modello riportante il testo completo di informativa, il quale deve essere messo a disposizione degli interessati ogni qualvolta questi ne facciano richiesta.

Dovrebbero essere, poi, nominate per iscritto – quali “incaricati del trattamento” – le persone fisiche autorizzate ad accedere ai locali dove sono situate le postazioni di controllo, le persone fisiche che possono utilizzare gli impianti di videosorveglianza, nonché quelle autorizzate a visionare le immagini.

Infine, al ricorrere dei relativi presupposti di applicazione, dovrebbero adottarsi le opportune misure di sicurezza.

 

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([1]) Successivamente, anche solo Provvedimento.
([2]) Successivamente, anche Statuto dei lavoratori. Sul controllo a distanza, infra, par. 5.
([3]) Successivamente, anche Codice privacy.
([4]) Si pensi, ad esempio, al caso in cui si volessero installare telecamere in un parcheggio, per scongiurare il rischio di furti, danneggiamenti o atti di vandalismo verso i veicoli: in tale ipotesi, i dispositivi video dovranno essere posizionati in modo da limitare l’angolo visuale all’area da tutelare (pertinenza), ai beni che ivi si trovano (completezza), evitando la ripresa di luoghi circostanti e di particolari non rilevanti (non eccedenza). Tale ricostruzione esemplificativa è di A. Frosini, La disciplina generale della videosorveglianza, in M. Alovisio, D. Burroni, A. Frosini, E.O. Policella, Videosorveglianza e privacy, Forlì, 2011, p. 18.
([5]) «È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dei lavoratori».
([6]) Così, D. Burroni, A. Frosini, La videosorveglianza nel rapporto di lavoro privato, in M. Alovisio, D. Burroni, A. frosini, E.O. policella, Videosorveglianza e privacy, cit., p. 72.
([7]) Sulla nozione in esame, si vedano R. Romei, Orientamenti giurisprudenziali sugli artt. 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori, in R. De Luca Tamajo, R. Imperiali D’Afflitto, C. Pisani, R. Romei, Nuove tecnologie e tutela della riservatezza dei lavoratori, Milano, 1988, p. 101 ss.; P. Bernardo, Vigilanza e controllo sull’attività lavorativa, in Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, a cura di C. Cester, vol. II, in Diritto del lavoro. Commentario, diretto da F. Carinci, Torino, 2007, p. 650.
([8]) Per un’analisi degli aspetti giuridici attinenti alla procedura, D. Burroni, A. Frosini, La videosorveglianza nel rapporto di lavoro privato, cit., p. 77 ss., il quale si dedica anche alla disciplina dei cosiddetti controlli difensivi.
([8bis]) Cfr. Cass., sez. Lavoro, 8 novembre 2016, n. 22662.
([9]) Si veda A. Frosini, La disciplina generale della videosorveglianza, cit., p. 26 ss.
([10]) Pubblicato in Gazzetta Ufficiale UE il 5 maggio 2016.
Articolo del 13/12/2016, di Anna Cignacco e Nicola Cignacco
Pubblicato il 16/01/2017 su Altalex